Intervista esclusiva ai musicisti Michele Tedesco e Gian Ranieri Bertoncini: insieme parliamo del loro nuovo album musicale “Two and The Machine”
Per il Marforio, quest’oggi abbiamo il piacere d’intervistare i creatori del disco “Two and The Machine“. Della loro nuova opera musicale, ne parliamo direttamente con gli autori: i musicisti Michele Tedesco e Gian Ranieri Bertoncini. Un disco che parte dal classico e poi sfocia nel suono sintetico, portandoci in un viaggio d’importanti riflessioni su questa epoca e soprattutto il futuro della musicalità: quale futuro avrà la musica grazie all’apporto delle nuove tecnologie?
Two and The Machine: ne parliamo con Michele Tedesco e Gian Ranieri Bertoncini
Cosa vi ha ispirato per il nuovo lavoro musicale e perché l’attenzione al mondo delle tecnologie?
GRB (Gian Ranieri Bertoncini): Il lavoro è nato partendo da mie composizioni più o meno recenti che avevano come punto focale la possibilità di affiancare un numero esiguo di strumenti, uno strumento a fiato e batteria, ad un apparato elettronico. Con Michele alla tromba si è creata la condizione ideale per poter sviluppare il progetto, vista e verificata la nostra comunione di intenti, sia procedurali che creativi. Con Michele elaborare le idee diventa un lavoro molto fluido, data la sua preparazione musicale e la sua naturale predisposizione ad esplorare percorsi musicali “alternativi”.
MT (Michele Tedesco): “ Two And The Machine” rappresenta, nel mio specifico caso, una messa in musica delle possibili interpretazioni della realtà dei fatti caratterizzanti la nostra con- temporaneità. In altre parole, un elenco inerente a differenti visioni socio-umanitarie, e non solo, con le quali ognuno di noi si imbatte nel dover dialogare, interiormente ed esteriormente.
Il rapporto tra IA e la musica
Siamo entrati nell’epoca dell’Intelligenza Artificiale, un tema richiamato nel vostro lavoro: può essere un mezzo che aiuta gli artisti?
GRB: Come tutte le innovazioni tecnologiche l’uomo troverà il modo di usarla in maniera sublime o deleteria, fa parte della nostra natura creare cose con un potenziale immenso e poi riuscire comunque a farne un uso producente o meno. Speriamo in bene… può essere che l’intelligenza artificiale, vista la sua natura di continuo apprendimento, riesca a sfruttare le nozioni e a portarle ad un livello più proficuo per l’uomo stesso.
MT: partendo dal concetto che un mezzo non possiede altro significato se non quello dell’utilità in sé, l’IA può rivelarsi un apparato costruttivo quanto distruttivo. Con dettagliato riferimento all’ambito musicale, identificatosi ormai in un mondo dove la maggior parte dei musicisti stessi sono tenuti ad andare ben oltre la conoscenza e il mantenimento della tecnica al 100% del proprio strumento per sopravvivere artisticamente ed economicamente, la risposta è senza dubbio si! “ Deleghiamo” all’IA, dietro precise indicazioni di programmazione, alcune attività musicali fondamentali, ma complementari, inerenti alla nostra vita da musicisti ( “planning”, “organizing”, “posting”, ecc.) tornando a sottolineare nuovamente il fatto che un musicista deve avere, prima di qualsiasi altra cosa, il tempo necessario per studiare ed approfondire la propria tecnica e creatività sullo strumento, di modo da essere sempre pronto, preparato, musicalmente efficiente, e, sopra ogni cosa, riconoscibile.
Come vi siete approcciati alle nuove tecnologie per fare musica e quali sensazioni vi ha lasciato?
GRB: Dai primi anni ottanta, con l’avvento del MIDI, mi sono costantemente interessato al processo creativo sfruttando le tecnologie che man mano sono diventate sempre più potenti e soprattutto accessibili, permettendo di aumentare il potenziale della struttura sonora. Col passare degli anni è diventato sempre più naturale includere nel percorso compositivo la componente elettronica. La sensazione è stata a volte di completo smarrimento, visto l’enorme potenziale a cui questo mezzo ci permettere di accedere, col tempo ho imparato a sottrarmi alle lusinghe di nuovi software e plugins, concentrandomi sulla mia idea di “spazio sonoro” e cercando specificamente e direttamente le fonti da cui attingere per poter dargli forma.
MT: Gianni mi ha coinvolto in questo progetto, da lui concepito e plasmato. Mi sono trovato, dunque, a dover relazionarmi con la sua “Machine” e mi sono sentito come un bambino, per la prima volta, in un parco divertimenti. Non ho trovato difficoltà ad interagire con “lei” poichè, lavorando anche nella Pop Music, elementi quali click in cuffia, riferimenti audio in base ecc, non rappresentano un problema. Oltre a ciò, l’impiego dell’elettronica applicata, specificatamente, ai fini di modificare il suono della tromba acustica mi ha fornito la dose necessaria di “follia sonora” di cui avevo bisogno per proseguire nei miei vari intenti trombettistico-sperimentali. La tromba, la batteria: un repertorio classico che si mescola al suono tipicamente sintetico.
L’evoluzione dei musicisti con le nuove tecnologie: la riflessione di “Two and The Machine”
Per chi viene come voi da un percorso più classico e jazzistico, com’è stato vissuto questo cambiamento di genere?
GRB: Come già specificato in precedenza non è stato un cambiamento ma una naturale integrazione di un mezzo “altro” per esprimere ciò che prima facevo con strumenti più “classici”. Mi interessa molto il Suono in sé stesso, non mi sono mai considerato un vero compositore, mi piace descrivermi più come un assemblatore che opera in maniera molto empirica, guidato principalmente dall’idea di ambientazione sonora che sto perseguendo in un certo momento. E’ ovvio che le esperienze fatte in alcuni campi musicali hanno influenzato queste scelte, anche se mi piace avvicinarmi all’aspetto musicale con curiosità e con l’ignorare le nozioni che col tempo ho imparato. In altre parole, meno frequento la “safe zone” e più mi sento motivato a cercare situazioni stimolanti nel processo creativo.
MT: Sicuramente entrambi proveniamo da percorsi classico-accademici inerenti alla musica cosiddetta “colta” e jazz. Tuttavia, questi 2 generi musicali, che amo, studio ed approfondisco costantemente, rappresentano per me il pilastro di base e, dunque imprescindibile, per realizzare qualcosa che non potrei definire come “diverso”, poiché sarebbe una definizione errata e peccaminosamente presuntuosa, bensì inaspettato, repentino, a volte quasi angosciante, seppur piacevole al mio orecchio. In tal senso, cerco di creare musica con elementi che fanno parte del mio bagaglio di conoscenze per cercare di destabilizzare me stesso, prima degli altri. In questo caso, l’incredibile e oltremodo rapida capacità della macchina di generare mondi ed universi diametralmente opposti si è rivelata un’ entità inafferrabile quanto trainante. Non si è mai trattato di un cambiamento di genere, si tratta solo di un mondo vasto dove la sopravvivenza creativa consiste nell’essenza della molteplicità stessa.
La musica synth verso il pubblico odierno
Grazie alla televisione, c’è stata una riscoperta del suono sintetico anche tra i giovanissimi: questo scenario vi ha influenzato?
GRB – MT: In verità non moltissimo, a parte alcuni episodi. pensiamo che il suono “sintetico” nasconda l’insidia pericolosissima dell’imitazione, del tipo: un brano di successo che usa certe sonorità che poi tutti si affrettano ad emulare. Non c’è niente di più scontato e noioso, anche se bisogna ammettere che, come in ogni campo, ci sono alcuni capiscuola che hanno segnato in maniera indelebile questo mondo. Come per tutti i generi musicali abbiamo il dovere di tenerne conto e farne tesoro, non tentare la sterile imitazione.
Il messaggio di Pastic Noodles
Plastic Noodles è una fotografia ai tempi moderni e la presenza sempre più costante della tecnologia nelle nostre vite: quale messaggio volete lanciare in tal senso?
GRB: Forse di soffermarci un po’ di più a pensare a quello che ci sta accadendo intorno e adoperarci affinché con il nostro semplice vivere quotidiano si possano prendere direzioni che migliorino le condizioni di ognuno di noi, soprattutto quelle inerenti allo spirito.
MT: Per quanto concerne la mia persona, non ho l’obiettivo di lanciare messaggi in tal senso. Preferirei, piuttosto, porre delle domande o instillare dubbi, spero, costruttivi, negli ascoltatori. Tutto ciò, poiché incredibilmente curioso della loro riposta e del la loro spontanea, seppur razionale ovviamente, capacità di reazione. Commentare o confutare un’affermazione rende il tutto meno “ genuino” rispetto al rispondere ad una domanda. Plastic Noodles esenta l’inevitabilità dell’evoluzione, l’impossibile sottrazione al cambiamento. E’ uno stato di fatto! Piace? Va perseguito, abbandonato, rimodulato?
Possono coesistere arte e macchina: la parola ai musicisti
Nel tempo, la macchina può sostituire l’artista e in questo caso il musicista?
GRB: Non voglio ipotecare il futuro ma penso di no. Ad esempio, parlando del mio principale strumento espressivo, la batteria, ci fu un periodo, con l’avvento delle batterie elettroniche, in cui la figura “umana” dello strumentista si pensava dovesse estinguersi… ad oggi, nel 2024, vedo ancora palchi di tutti i generi musicali con batteristi in carne ed ossa, a volte affiancati da apparati elettronici… E’ probabile che vi sarà sempre più integrazione tra le due componenti, umana e tecnologica. E spero che ciò porterà a nuovi orizzonti sonori, abbattendo il pregiudizio che persiste ancora (ma sempre meno) in alcuni musicisti. Intendiamoci : non sto dicendo che l’uso dell’informatica debba essere obbligatorio ma verosimilmente farà sempre più parte del processo di studio e creazione musicale. Nel caso si verificasse il caso di Isamoviana memoria riguardo ad un totale controllo da parte dell’intelligenza artificiale mi auguro che essa riesca a produrre materiale che tenga conto meno delle leggi di mercato ed esalti maggiormente le possibilità creative, cosa che l’uomo è riuscito a fare solo in misura percentualmente abbastanza esigua.
MT: Nel rispondere a questo domanda non mi soffermerò sulla mia personale interpretazione relativa a frasi del tipo “ le macchine sono pur sempre frutto dell’umana mente”, oppure “ l’IA presenterà sempre e comunque dei deficit di originale creatività”. Penso la risposta sia una ed imprescindibile: l’umanità, tutta l’umanità, difficilmente impara davvero dai propri errori, conservando una natura autodistruttiva nell’inseguimento di presunti personali interessi dai significati futili e vacui. Lo spettro di un potere grande ed immenso poiché “basicamente” in grado di fare molte cose al posto nostro è un’oscura prospettiva dotata di una luce chiara accecante.
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